Infertilità : passato, presente e futuro

A 30 anni dalla prima nascita in vitro in Ticino. Prospettive etiche.

Conferenza tenuta nel quadro del simposio internazionale organizzato dall’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) venerdì 23 ottobre ad Ascona (Sala Balint, Monte Verità). “Infertilità: passato, presente e futuro – 30 anni dalla prima nascita da fecondazione assistita in Svizzera”.

Di fronte alla nascita di qualsiasi essere umano non possiamo che esprimere un sentimento di stupore e di gioia, indipendentemente dal fatto che sia stato concepito naturalmente o attraverso la fecondazione artificiale. Gioia che vivono innanzitutto i genitori, che a causa dell’infertilità hanno sofferto per anni. Ogni bambino è un miracolo della vita che apre la famiglia e la indirizza verso il futuro. In questo senso ha valore etico qualsiasi bambino nato dalla fecondazione in vitro ed anche la gioia dei genitori.

La procreazione assistita ha suscitato diversi dibattiti fin dal suo esordio a livello giuridico, medico ed etico. Per chiarezza occorre distinguere gli ambiti senza, tuttavia, separarli, onde evitare quella confusione che impedisce di esprimere in modo appropriato le problematiche.

Per non ridurre la nostra riflessione solamente a livello del permesso e dell’interdizione, in questa relazione ho scelto di avvalermi del metodo socratico della maieutica: il porre le domande, infatti, permettere a ciascuno di progredire verso un giudizio di coscienza sulla verità etica della procreazione assistita.

Le domande che la procreazione assistita suscita a livello etico trovano risposta adeguata solo se consideriamo il livello metaetico: quale è l’orizzonte di senso nel quale operiamo? Quale visione dell’essere umano abbiamo? L’etica, come B. Pascal ha così ben ricordato, richiede più “esprit de finesse” che “esprit de la géométrie”. Il giudizio etico, infatti, non è sempre la conclusione di un sillogismo matematico ma richiede prudenza.

L’approfondimento della domanda sull’eticità della fecondazione naturale o di quella artificiale, impone il considerare diversi elementi che rendono responsabile o meno responsabile, umano o meno umano un atto, più o meno libero, la fecondazione. Nella fecondazione entrano in gioco diversi interlocutori morali: in prima persona i genitori e il futuro figlio, la famiglia e la società in modo indiretto. Nella fecondazione in vitro subentrano come soggetti morali, in modo particolare, i genitori con il loro desiderio di un figlio, il mondo medico con la sua abilità tecnica, ma anche la società, in quanto facendo entrare terzi, tocca l’atto di riproduzione; tuttavia si pone anche la domanda dello statuto morale dell’embrione “fratello”, del suo destino futuro, in quanto viene posta la questione della sua unicità e singolarità e del suo valore in sé. Inoltre, c’è anche la questione su quale sia la libertà della procreatica di fronte al mondo dell’economia o sul ruolo che le assicurazioni giocano nel determinare la nascita di un figlio sano.

Il desiderio dei genitori di avere un figlio è profondamente inscritto nella natura dell’essere uomo e dell’essere donna. A livello etico si è discusso sul desiderio e sul diritto di avere un figlio: il figlio, in quanto persona, è un dono del quale non posso disporre come di un oggetto secondo la mia libera scelta o, al contrario, un diritto che la società e, dunque, il progresso della tecnica medica deve assicurarmi in qualsiasi maniera? Il desiderio dei genitori non ha limiti e può giungere a determinare il sesso e le qualità del futuro figlio. Nella società ed anche a livello legislativo siamo d’accordo, per ora, nel rifiutare una selezione che assecondi i caprici “estetici” dei genitori, tuttavia abbiamo la tendenza ad accogliere la richiesta di un bambino sano, soprattutto nella “selezione di embrioni di qualità” a scapito di embrioni portatori di un difetto genetico, più o meno grave, come addirittura la trisomia 21.

Non dobbiamo dimenticare che in campo etico esistono diversi modelli etici che indubbiamente condizionano le scelte che facciamo in campo della procreatica.

Chi sceglie il principio kantiano, il fine non giustifica i mezzi, non solo valuterà il fine ricercato nella Fivet, ma anche il mezzo utilizzato per raggiungere il fine, che deve essere buono, mezzo che secondo la logica umana deve sempre rispettare la dignità umana ed essere in accordo con la dignità umana di tutti i soggetti morali coinvolti nella fecondazione in vitro. Proprio in questa prospettiva alcuni si pongono delle domande e in passato hanno cercato di limitare il numero di embrioni da utilizzare: erano solo tre da reimpiantare immediatamente per evitare la crioconservazione. «Fuori dal corpo della donna possono essere sviluppati in embrioni solo tanti oociti umani quanti se ne possono trapiantare immediatamente» (art. 119). Recentemente il cambiamento fatto a livello costituzionale dell’articolo 119 sull’approccio alla vita iniziale, secondo alcuni, protegge meno l’embrione umano da manipolazioni selettive e da strumentalizzazione. Il merito del modello kantiano consiste nel ricordare a tutta la società il criterio fondamentale della dignità umana. E’ vero che la discussione si sposta sulla definizione dell’umanità dell’embrione e sul valore dell’ootide, distinguendo tra un “prima” e un “dopo” fusione dei gameti. In realtà è una discussione che viene determinata dalla visione filosofica, che sottostà, dell’essere umano o della vita umana in quanto tale. Un approcciò quantitativo dell’essere umano lo riduce alla somma delle sue qualità biologiche, mentre un approccio qualitativo vede l’essere della vita che è più della somma delle sue parti o al risveglio della coscienza psicologica. Non si può non evidenziare che il criterio della dignità umana e dei diritti umani hanno subito un’evoluzione determinata dall’attuale modello antropologico, in quanto i diritti dell’uomo non derivano dalla natura ontologica dell’uomo in quanto persona, ma in quanto individuo che la libertà definisce essenzialmente.

Nella discussione etica alcuni considerano il criterio della ponderazione dei beni o dell’analisi delle conseguenze sufficiente per valutare il valore morale di un atto. Pertanto viene presa in considerazione la sofferenza dei genitori e il loro desiderio, la capacità medica di superare l’infertilità e la salute del futuro bambino. Si fa, perciò, una ponderazione dei diversi beni o valori in gioco per evitare al massimo conseguenze negative. Sicuramente è una modalità dominante nell’etica contemporanea, sia a livello accademico, sia a livello della gente comune, nell’affrontare una scelta etica. Non si può negare che un buon approccio etico suppone sempre la considerazione delle conseguenze. Ma è sufficiente? Come evitare una deriva utilitarista o il sacrificio di alcuni valori fondamentali secondo il criterio dell’efficienza senza cadere in una cultura dello scarto dei più deboli?

E’ proprio tenendo conto del rischio di questo pendio scivoloso e nella volontà di difendere la dignità della vita umana al suo inizio che recentemente si sono elevate le voci della Conferenza dei Vescovi Svizzeri e della Conferenza delle Chiese evangeliche in Svizzera per invitare il campo della procreatica e della legislazione a riflettere su tutte le conseguenze di una medicina che, indubbiamente, è ben intenzionata a lottare contro l’infertilità dei pazienti.

Non c’è dubbio che, essere in grado di riprodurre in vitro la vita, possa essere considerato dalla grande maggioranza un progresso e una conquista, sia dal punto di vista della scienza, sia dal punto di vista di chi desidera un figlio e lotta contro l’infertilità. Tuttavia, ciò pone domande sul rapporto tra la tecnica e il suo potere sull’uomo, sulla procreazione umana, sull’essere umano, sulla sua singolarità. La procreazione umana non è solo un atto tecnico, ma è portatrice di una valenza simbolica. La riproduzione in vitro modifica il rapporto alla vita nascente, ai coniugi, alla società. Si tratta sempre di ricordare, al di là del progresso umano e tecno-scientifico, che l’essere umano, anche nella sua fase iniziale, ha un valore sacro, una dignità intoccabile che non deve essere strumentalizzata e se viene trascurata si modifica il rapporto a qualsiasi essere umano. Non è oscurantismo religioso o rifiuto dell’intervento tecnico per paure infondate o dell’artificialità della tecnica, ma un invito a considerare il procreare umano nella prospettiva dell’unità personale dell’atto di riproduzione che rimane innanzitutto un atto interpersonale.

Certo, viviamo in una società pluralista ed anche sempre più multireligiosa in cui deve prevalere la tolleranza reciproca nella ricerca di una convivenza fondata sul contratto sociale; tuttavia, è pur vero che la convivenza si costruisce sul dialogo tra i diversi interlocutori della società in vista di una vita buona dove i fondamenti umani vengono salvaguardati per evitare una spersonalizzazione. C.S. Lewis nel 1943 nel suo libro The Abolition of man già richiamava l’attenzione sulla spersonalizzazione in corso nella cultura contemporanea, affermando che “ogni nuovo potere raggiunto dall’uomo è anche un potere sull’uomo”. In questo senso la gioia comprensibile per la nascita di un bambino in vitro 30 anni fa in risposta all’infertilità, invita allo stesso tempo ad un discernimento costante, non nel senso di un pessimismo patologico e cronico, ma nella volontà di riflettere, proprio in quanto uomo, su quanto operato in vista di una vita migliore dove ogni essere umano possa mantenere la propria dignità di uomo e di donna, senza dovere tremare per la sua debolezza innata per paura di essere discriminato, senza dovere essere sacrificato sull’altare del rendimento economico. Porre le domande è importante e ciò non significa misconoscere l’evoluzione della concezione del diritto o l’esistenza di diversi modelli etici e, neppure, la separazione benefica tra religione e stato nel contesto secolare.

Con questo contributo, pertanto, ho inteso contribuire nel pieno rispetto delle coscienze a riflettere sulla procreazione assistita in Ticino, convinto che è proprio dell’essere umano maturo riflettere sulle scelte che fa in diversi ambiti della sua vita e, in modo particolare, in un ambito così significativo come quello della medicina della procreazione. Ogni possibilità nuova che ci offre la tecnica deve essere valutata, non solo come un semplice fare, ma come l’agire di una persona in favore di altre persone in un contesto sociale ben preciso, un agire prudenziale aperto al futuro.

 

A.-M. Jerumanis

 

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